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sabato 2 ottobre 2010

TORINO-PORTOGRUARO STREAMING DIRETTA LIVE

TORINO-PORTOGRUARO STREAMING DIRETTA LIVE. nell’Islam o in questo progetto, ma in se stessi e nella società che dicono di voler proteggere.

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10
set
2010
Atti e parole

Quattro episodi differenti, ma dello stesso segno. Nel Tennessee, fuori da paese di Murfreesporo, hanno cercato di appiccare un incendio sul sito di un centro Islamico in fase di costruzione. Nel Texas, atti di vandalismo e scritte oscene sulel mura di un altro centro Islamico. In una zona rurale dello stato di New York cinque giovani hanno disturbato servizi religiosi dentro una moschea, e uno di essi ha sparato in aria con un fucile. Nel centro della città di New York un giovane esaltato ha accoltellato un tassista musulmano dopo averlo insultato per la sua religione. Solo episodi sconnessi o parte di un’ondata di islamofobia? Sono il frutto delle dichiarazioni contro l’Islam da parte di tante figure pubbliche, ed è giusto collegare le parole ai fatti violenti?

Ricordiamoci che il più grande atto terroristico prima dell’11 Settembre è stato la bomba al palazzo federale a Oklahoma City nel 1995, per la quale persero la vita 168 persone. Fu messa da un piccolo nucleo di persone di estrema destra, che consideravano il governo centrale un nemico da abbattere.
Subito dopo la bomba ad Oklahoma, quando non si conoscevano i responsabili, si è pensato subito ad un complotto islamico e si cominciò subito a parlare delle colpa della cultura e della religione islamica. Quando poi si scoprì che era stato un bianco, e per di più di destra, si cambiò subito il discorso politico. Si parlò di responsabilità individuale, e si disse che non si poteva fare di un’erba un fascio.

Lo stesso sta accadendo per questi ultimi atti vandalistici e violenti, come ha notato il professor Stanley Fish: si sta cercando di spostare il dibattito pubblico da responsabilità generali a responsabilità’ individuali. Il New York Post, giornale di Robert Murdoch, ha scritto che l’accoltellamento a New York è stato “l’atto di un individuo turbato, ora agli arresti,” mentre sullo stesso giornale un commentatore ha scritto che “un attacco non è un trend nazionale, e dovremmo sempre dire che un criminale rappresenta nessuno oltre se stesso”.

Ma che dobbiamo pensare di quattro attacchi nello spazio di tre settimane?

(Risponderò ad alcuni dei commenti all’ultimo post in uno dei miei prossimi pezzi.)

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9
set
2010
Non è una Moschea sul cimitero

Cerchiamo di ragionare un momento sulla cosiddetta moschea a Ground Zero, che ha suscitato una sorprendente ondata di sentimento anti-islamico nel paese e che ha preso molti in contropiede. Intanto alcuni chiariamenti: non è una moschea, si tratta di un centro sociale in un palazzo di diversi piani con palestra, piscina, auditorium e altre cose, tra cui una sala di preghiera. Una struttura che prende il modello del Jewish Community Center a Manhattan, dove si può andare in piscina, in palestra o seguire corsi di cultura ebraica, sulla 77esima strada. Il centro Islamico non è a Ground Zero ma a due isolati da dove erano le Torri Gemelle distrutte l’11 Settembre 2011. Inoltre dovrebbe prendere il posto di un magazzino chiuso. Nella zona, a cinque isolati da Ground Zero, c’è infine già una piccola moschea, e nel quartiere del nuovo centro islamico ci sono due o tre locali a luci rosse.
Quindi sono volutamente distorte le dichiarazioni di chi parla di una moschea trionfante sul cimitero dei martiri dell’11 Settembre, come per esempio sostiene il predicatore cristiano Franklin Graham, secondo il quale ora i musulmani considereranno il World Trade Center ‘Terra Islamica’. Non si capisce, insomma, a che distanza dovrebbe stare una moschea. Bastano due isolati? Bastano cinque isolati? O dovrebbero essere dieci o venti?
È difficile spiegare il punto di vista americano al pubblico italiano, che vive in un paese dove il Cattolicesimo è stata religione di stato per tanto tempo, e dove un politico come Roberto Calderoli può celebrare il ‘maiale Day’ trascinando carne di maiale sul sito proposto per una moschea e poi tranquillamente diventare ministro. Negli Stati Uniti, anche se abbiamo una storia di intolleranza religiosa, soprattutto nei confronti dei Cattolici nell’Ottocento, la moschea di New York non dovrebbe essere controversa dal punto di vista legale. Gli Stati Uniti, fin dalla loro nascita, hanno scritto nella Costituzione che non ci può essere una religione di stato e che allo stesso tempo il governo non deve interferire in alcun modo con l’esercizio dei diritti religiosi. Essendo un paese di immigrati, abbiamo centinaia se non migliaia di culti differenti, alcuni abbastanza strambi, che convivono in genere senza difficoltà. Per cui dal punto di vista logico e legale non c’é nessuna base per differenziare una religione o un culto dagli altri.
Come ha detto giustamente il sindaco di New York Michael Bloomberg, che è stato uno dei fautori del Centro Islamico: ‘Non siamo sempre d’accordo con tutti i nostri vicini di casa, ma questa è la vita in una città cosi densa e variegata. Ma riconosciamo che essere newyorkesi significa convivere con i tuoi vicini con rispetto reciproco e tolleranza, ed è proprio questo spirito di apertura che è stato attaccato l’11 Settembre. Non dimentichiamo che c’erano musulmani tra le vittime e che i nostri vicini musulmani hanno pianto insieme a noi. Sarebbe un vero tradimento dei nostri valori e un regalo ai nostri nemici se cominciassimo a trattare i musulmani in modo differente rispetto ad altri gruppi nella nostra società”
C’è però gente che vuole approfittare di questa situazione per soffiare sul fuoco dell’odio e forse approfittarne politicamente. Ormai ogni candidato nella campagna elettorale deve prendere una posizione, a favore o a sfavore della moschea, e purtroppo c’é poco guadagno politico nel difendere una minoranza impopolare. Va ricordato che stragrande maggioranza degli arabi americani sono persone che vanno a lavorare tutti i giorni, e che la famiglia araba americana media guadagna 59 mila dollari rispetto alla famiglia media americana, che ne guadagna 52 mila. Si tratta quindi di persone abbastanza preparate e laboriose. Eppure c’è gente che vuole dichiarare una guerra santa contro l’Islam, come Graham, figlio di un famoso predicatore americano, che mette in discussione la fede cristiana del presidente Obama e che parla dell’Islam come di “una religione di odio e di guerra”. C’è un predicatore in Florida che annuncia di voler bruciare copie del Corano – una provocazione così offensiva che il Generale David Petraeus, comandante delle truppe americane in Afghanistan, lo ha pregato di soprassedere per non mettere a rischio le truppe americane che rischiano la vita in paesi islamici. Immaginate che bello strumento di reclutamento per Osama Bin Laden sarebbero le immagini di un falò di corani.

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3
set
2010
Irrazionalità e la mancanza di dialogo.

Seguirò la linea del post dell’altro giorno sull’irrazionalità in politica, perché l’irrazionalità é diventata negli ultimi anni un soggetto di ricerca sempre più interessante ed importante. Per due secoli lo studio dell’economia, da Adam Smith in poi, si era basato sull’idea dell’uomo razionale, che agiva nel proprio interesse e per il proprio vantaggio. Negli ultimi vent’anni si é però sviluppata una tendenza nuova, il cosiddetto ‘behavioral economics (economia del comportamento), per il quale ha perfino vinto il Nobel per l’economia uno psicologo, Daniel Kahneman della Princeton la cui ricerca evidenzia comportamenti molto marcati verso le azioni irrazionali. In altre parole, le persone agiscono contro il proprio interesse economico.

C’è, per esempio, il cosiddetto “status quo bias,” (la preferenza per l’esistente piuttosto che un’alternativa potenzialmente migliore). Cioè: mettiamo che una persona riceve in eredita’ da un suo parente 100,000 euro in titoli di borsa di una azienda che naviga in cattive acque. Se avesse ricevuto i 100,000 euro in denaro liquido non avrebbe mai scelto di investire in quella compagnia ma dato che le azioni in quella compagnia cele ha già è molto più restia a venderle.

Alcuni studi dimostrano per esempio che il 90% delle persone si considerano autisti superiori alla norma, quando lo possono essere soltanto il 50% . Altri hanno confermato l’esistenza di quello che chiamano ‘confirmation bias’, ovvero la tendenza di vedere confermato il proprio punto di vista nelle prove disponibili e a trascurare prove contrarie.

Del resto, vediamo il ruolo dell’irrazionalità sempre più presente nella politica di oggi; la stragrande maggioranza degli americani crede che il salvataggio delle banche iniziato nel 2007 sia stato fatto dal presidente Barack Obama e non dal presidente George Bush, com’è stato in realtà. Molti studi dimostrano che il fattore determinante del voto dell’elettorato americano è l’andamento dell’economia nell’anno precedente le elezioni e non l’intero mandato di un presidente. Questo, secondo il politologo di Princeton, Larry Bartels, ha favorito nell’insieme i Repubblicani e dovrebbe rappresentare un serio segnale di allarme per Barack Obama. In uno studio pubblicato (Unequal Democracy, 2008), Bartels ha dimostrato, considerando cento anni di storia, che l’economia americana nell’insieme é cresciuta di più sotto governi democratici, e che la crescita ha beneficiato in particolare i ceti medi e bassi, quindi la maggioranza del paese. Pero l’economia è andata un po’ meglio nell’ultimo anno prima delle elezioni sotto governi repubblicani, e quando questo fenomeno si è evidenziato è andato a vantaggio dei Repubblicani. Ecco spiegate la svolta anti Obama dell’America di oggi e l’opposizione del partito repubblicano a qualsiasi iniziativa economica che Obama potrebbe intraprendere per migliorare l’economia prima delle elezioni del 2012.

Il più grande cambiamento nel mondo politico durante la mia vita, oltre all’integrazione razziale, l’affermazione delle donne e la realizzazione di una società molto più pluralista, è stato il crescente estremismo del partito repubblicano. Negli anni Settanta e Ottanta si poteva benissimo non condividere le loro posizioni su varie questioni, ma quelle erano posizioni razionali. Potevano sostenere con prove empiriche alla mano che le tasse erano troppo alte, che i programmi sociali degli anni sociali degli anni Sessanta erano stati inefficaci, e potevano sostenere in termini razionali che ci voleva una politica più ferma nei confronti dell’Unione Sovietica. Erano posizioni opinabili, ma razionali, e si poteva avere con loro un dialogo razionale e civile sulle grandi questioni. Nella società americana c’è sempre stato un elemento di follia, una frange estremista dove fermentavano visioni paranoiche del mondo. Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era il John Birch Society che sosteneva, da un discorso di uno dei suoi fondatori, che i comunisti avrebbero “infiltrato gli uffici più alti del governo americano fino all’insediamento di un presidente comunista sconosciuto a tutti noi”. Allora questo tipo di pensiero era considerato poco rispettabile come la pornografia, non pronunciabile in pubblico ma distribuito clandestinamente con la posta, ignorato da tutti i politici dei partiti principali. Ora invece vediamo tutti i giorni fenomeni molto simili, in televisione e in manifestazioni repubblicane. Insinuazioni sul presidente Obama, presentato come musulmano o come non nato negli Stati Uniti, quindi presidente legittimo. Si dice anche che Obama è in realtà un agente segreto di gruppi di estrema sinistra, capeggiato da William Ayres, terrorista degli anni Settanta, e teorie simili. Contro l’evidenza dei fatti, è considerato un dato certo dalla maggioranza dei Repubblicani che Obama è un socialista che vuole distruggere l’economia di mercato. Ed è davvero triste che non esista più un terreno comune in una società per un dibattito civile e razionale sulla base dei fatti. Il fenomeno è in parte dovuto a cambiamenti nel mondo dei media. Fino ai primi anni Ottanta, la televisione americana aveva delle regole molto severe, una si chiama ‘In equal time doctrine’, una sorta di par condicio: se in tv si sosteneva un determinato punto di vista, bisognava dare tempo equo ai sostenitori della posizione opposta; c’era anche la cosidetta “Fairness doctrine”, che incoraggiava le reti televisive a mantenere una posizione equa nel trasmettere le notizie, e le sottoponeva a multe se violavano questi principi. La svolta tecnologica della televisione via cavo, e l’arrivo al potere di Ronald Reagan, fautore della deregulation, hanno azzerato questi principi che sembrano nel mondo di oggi come cose della remota epoca dell’enciclopedia di Diderot. L’idea era che con il fiorire di centinaia di canali diversi non fosse necessario mantenere l’equilibrio o spazio per altri punti di vista, perché i vari canali avrebbero offerto essi stessi la pluralità. Però questo ha significato un grosso mutamento: mentre le tre grandi reti televisive del passato dovevano garantire un certo equilibrio e rappresentare più punti di vista in un solo canale, ora siamo passati alla balcanizzazione dei media, in cui ognuno cerca e trova la televisione che fa per sé, che conferma i propri punti di vista, che gratifica le proprie passioni politiche. Nella televisione di nicchia tende a vincere un punto di vista forte e marcato, per convincere lo spettatore con il telecomando a non cambiare canale. Ciò però significa che ognuno vive nell’universo di informazioni di propria scelta, e perde l’abitudine di dialogare con chi non é d’accordo. Paradossalmente due società molto diverse, l’Italia e gli Stati Uniti, hanno dunque questo in comune: una televisione quasi esclusivamente privata, più o meno senza regole, e una forte polarizzazione informatica e politica. È una constatazione molto triste che in Italia i berlusconiani e gli anti berlusconiani siano incapaci di intraprendere un dialogo come è stato negli Stati Uniti tra i sostenitori del presidente Bush e il presidente Obama.

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31
ago
2010
Il vero scheletro nell’armadio

Il vero scheletro nell’armadio di Berlusconi più imbarazzante e dannoso delle storie delle escort e delle tangenti dentro la sua amministrazione è l’andamento dell’economia italiana sotto la sua gestione. Le statistiche sono molto chiare ed eloquenti. L’economista inglese Charles Young, in un suo libro pubblicato recentemente, Inpunity http://www.amazon.co.uk/Impunity-Berlusc…) dedica un capitolo sulla macroeconomia degli anni del governo Berlusconi. Le statistiche non possono essere scartate o attribuite a fattori internazionali fuori dal controllo di Berlusconi come l’undici settembre e la recessione attuale perché sono statistiche comparative e la conclusione è sempre la stessa: che l’economia italiana va peggio di qualsiasi paese nella zona europea, per quanto riguarda la crescita del PIL, l’indice più riconosciuto e più obbiettivo dell’andamento dell’economia. Ecco un brano del libro di Young insieme a due grafici illustrativi:

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Nei cinque anni precedenti il 2009 la crescita in Italia è stata di segno negativo – l’economia nel 2009 è stata più contratta rispetto al 2004 -, mentre nel resto dell’Eurozona si è registrata una crescita positiva. Entrambe le cifre – il calo in Italia e la crescita nel resto dell’Eurozona – sono molto basse, e non va attribuito un eccessivo significato al picco negativo del grafico relativo all’ultimo anno.

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